Dimissioni: date
Disdetta casa: fatto
Trasloco: in corso
Sono in quel di Milano ancora per 18 giorni. Diciotto giorni di fatica, a
guardar fuori e vedere piovere, piovere e ancora piovere. A Milano non vale l'ottimismo del Non può piovere per sempre: qui per giorni diventi un tutt’uno con l' ombrello, manco avessi tre braccia.
Penso che l’ombrello sia stata la spesa più ricorrente dacché sono in questa città. Ne ho comprati di tutti i tipi:
quelli di tre euro sotto la metro che si rompono subito subito, quelli resistenti formato famiglia che sopravvivono alle piogge a vento, quelli da
collezione, quelli vintage, da borsetta e quelli grandi quanto una mano. A conti fatti
uno stipendio è andato via solo per ombrelli.
Molti son deceduti durante quelle
giornate di cielo incazzato, quando a Milano piove “a sifoni”, come se stesso
venendo giù una divina punizione all’umana specie. Altri li ho sparpagliati un
po’ in giro, dimenticandoli in angoli improbabili della città: attaccati alle
maniglie del bus, nei camerini prova di H&M, sotto i tavolini di vari
locali e nei portaombrelli di innumerevoli luoghi X.
Diciamo che la pioggia è il terzo incomodo presente
in quasi tutti i ricordi che ho di questa città, come l’elemento indesiderato
in una foto: pioveva durante due traslochi, durante il mio secondo colloquio di
lavoro, per ben due miei compleanni di fila, pioveva durante gli allenamenti,
all’uscita dell’Esselunga, della pizzeria, pioveva quando decidevo di stendere
fuori il bucato.
E non fai in tempo a dire che non ti piace la pioggia
che subito arriva un’afa stringi collo, per cui finita la lamentela sulla
pioggia ne inizia un’altra sull’umidità. Insomma questa città non va bene a
tempo indeterminato, è un luogo che caccia più che accogliere, è un punto di
appoggio, una strada di passaggio.
Eppure ci sono i giorni in cui Milano si fa amare,
quei giorni tiepidi e intermedi di primavera, con il cielo arancione che si
allunga fino alle 8 di sera, i boccioli dei fiori che scoppiano nei parchi.
Sono i giorni della mezza manica e dell’ottimismo, quei giorni che stanno per
diventare qualcosa, i giorni del quasi e del non ancora, in cui si annotano i
progetti e si raccolgono i buoni
propositi.
Durante questi ultimi mesi ho messo a punto il mio
piano di fuga da Milano, con tutto il bene del mondo, ma questa città per il momento, non fa per me. Del doman non
v’è certezza.
Mi sono armata di scotch e di scatoloni e ho dato il
via ad uno degli scenari più ricorrenti di questi ultimi tre anni: Messer
Trasloco. E devo dire che con il tempo mi sono specializzata.
Gli armadi sono quasi vuoti, da casa a casa la roba
diventa sempre meno (della serie leggeri è meglio), la scatola dei libri si è
rimpicciolita notevolmente, ed è stata la prima ad essere imballata.
Sono quasi in partenza, quest’anno passerò la
stagione del non ancora altrove, non ci sono ripensamenti, né tanto meno nostalgie
latenti.
Di sera, dopo aver chiuso l’ennesimo scatolone mi
addormento con una sola speranza, che è anche un augurio per gli abitanti di questa città: SignoreIddio, fa che almeno nel giorno del
trasloco ci sia il sole.
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