Stamattina ho iniziato a lavorare con un po’ di ritardo, niente di grave, sono uscita di casa solo mezz’ora dopo rispetto all’orario di routine.
Il motivo? Avevo bisogno di parlare e di riflettere circa la mia vita e le mie scelte quotidiane.
Mentre ero in casa, seduta a bordo letto ho pensato che tutto ciò che era fuori dalla stanza poteva aspettare e che avevo un assoluto bisogno vitale di rimanere ranicchiata nella mia vita.
Quando ero più piccola e sentivo qualcosa di strano dentro di me pensavo che la prima cosa da fare era scappare al massimo della velocità dal luogo stesso in cui mi era venuto il cattivo pensiero.
Più scappavo e più venivo rincorsa.
Con il tempo ho capito quanto sia importante “rimanere ferma” e provare a dimorare nei brutti pensieri, quel poco che basta per conoscerli perché, ciò che è familiare fa sempre meno paura.
Devo ammettere che questo trucchetto del rimaner fermi ha pian piano portato i suoi buoni risultati.
Con la santa pazienza sto imparando ogni giorno a riconoscere le mie paure (chisonodovesonocosafaròdoveandròesoprattutto-Sto facendo la cosa giusta?), o meglio a visualizzarle: sono veloci come nuvole, a volte nere, altre volte grigine, a volte grosse, altre sottili e quasi impercettibili e, proprio come nuvole, non rimangono per sempre nel cielo.
Le paure sono solo pensieri, ma la realtà è fuori dalla propria mente. È una carezza, un bacio con lo schiocco, è amore, è il profumo della frutta, il dolcetto spezza-fame, l’odore della pioggia, le parole di un amico, è il cappuccino caldo delle 11.15.
Ho pedalato forte fino al Duomo e, come ogni mattina, ho visto il tabaccaio tirar su la saracinesca, la giornalaia che salutava i suoi amici, il grosso cane del quartiere che portava a spasso la sua piccola padrona e l’autista del tram che sembrava mi aspettasse nonostante il ritardo.
C’era aria di pioggia e un odore esplosivo di cornetti che veniva fuori dai bar. È quasi Settembre.
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