martedì 15 ottobre 2013

Tarallucci e Vino

L'autunno sulla Murgia si aspetta a braccia conserte.
Per il freddo, non per l'attesa.
Le mani iniziano a fare su e giù sfregando il corpo a partire da Settembre, quando qualche camino inizia a sputare fumo e ad intorpidire il cielo.
Nelle piccole strade gli alimentari sfornano qualcosa di caldo, ci si arma della teglia con i buchi per cucinare le castagne e si va in cantina a fare scorte di vino.
Le vecchiette gridano da una parte all'altra della strada, si raccontano che le giornate  si sono fatte più corte stringendo le spalle nello scialle di lana dura.

Comara Domenica si metteva sulla strada ad aspettare che Tina, dal sottano, sfornasse i taralli. Io arrivavo correndo da casa dei nonni, come se avessi sentito le campane della messa, attenta a non inciampare tra le chianche del centro storico. Con il fiatone spostavo la tenda che separava casa di Tina dalla strada.
Io ero l'amica del cuore di Anna, sua figlia, e avevo il privilegio di addentare i taralli appena fatti. 
Prima ancora di Comara Domenica.
Tina e Anna avevano le mani umide a furia di chiudere i taralli, io mi sedevo appoggiando la testa al muro ghiacciato e le guardavo armeggiare la massa come fosse oro.
Oro con i semi di finocchio.

Per chi nasce da quelle/queste parti il tarallo è sacro. Quando penso alla mia terra mi vengono in mente gli ulivi, i taralli, il vino e le orecchiette. Tutti cibi forti, duri e grezzi. Roba di sostanza.
Ogni volta che vado a casa, gli amici prima di salutarmi dicono Ricordati i taralli! ed io, prima ancora di ricevere richiesta chiamo mamma e  dico Ricordati di comprare i taralli!

Un buon pugliese, a furia di addentare taralli può tentare, ad un certo punto della sua vita, di stilare una classifica sul prodotto migliore, individuando paese di produzione e panificio. Personalmente scelgo Andria.

Non a caso, qualche giorno fa, la mia amica Tiziana postava su Facebook il suo primo esperimento di taralli fatti in casa. -Cavolo Tizi, devi darmi la ricetta!- e, dopo qualche giorno, lei m'inviava un piccolo racconto che ho deciso di pubblicare così com'è.
E' impossibile postare questa ricetta escludendo il cuore di chi la prepara, perché, come tutte le cose che hanno a che fare con la tradizione, quello non resta mai fuori dalle mura domestiche.


1/2 - 1/5 - 1/8

Ho scelto questa sequenza per chiamarli taralli.

Sì, perché dovevano cambiare un po’ natura perché si materializzassero tra le mie mani. Ho ripetuto più volte durante la giornata, quasi come un mantra, la sequenza “un mezzo-un quinto-un ottavo-cinquecento-duecento-centoventicinque” e non ci potevo credere: avevo in mano la ricetta dei taralli. Non che non la si trovasse in giro, certo, ma era importante per me prendere coscienza del fatto che stavo per mettere le mani in pasta e realizzarli, stavo per gridare ai profumatissimi panifici del quartiere e della città che avevo scovato il segreto e non certo per farne poi concorrenza sul mercato, quanto per provare la sensazione di quel sorriso che ti guarda stranito per dirti: “grazie”, scuotendo con dolcezza la testa a dire “non possiamo darle la ricetta, è complicato” .
I sorrisi dei panifici pugliesi sono superbi, ma fanno bene ad esserlo. Una fresca e fragrante pagnotta di grano duro, tesa al cliente con sguardo arcigno, diviene pane raffermo al primo morso. Così, un tarallo offerto tra due dita nell'attesa per fartene assaporare l’autenticità - ogni panificio, poi, ha la sua ricetta ed è sempre la migliore- se non è accompagnato dalla gioia con cui è stato lavorato e infornato, non è un vero tarallo: l’arte del panificare si accompagna all'arte del sorriso, l’una e l’altra insieme.

Fontana di 500 gr di farina tipo 00
Aggiungi 200 ml di vino bianco secco in cui precedentemente hai fatto sciogliere un cucchiaino di sale.
125 gr di olio extra vergine di oliva
Semi di finocchio, o qualsiasi altra spezia gradita, a volontà.

L’impasto risulta ben lavorabile, nonostante il vino lo renda un po’ più duro rispetto a quello del pane. Verrà lavorato per almeno venti minuti e lasciato riposare per mezz'ora e coperto al fresco.
Nel frattempo si preparano i canovacci e la pentola dove portare a bollore dell’acqua.
Preparare i taralli a partire da cordoli di impasto di circa 1 centimetro e mezzo di spessore e riporli sul canovaccio. Terminata questa fase, nel frattempo l’acqua è a bollore ed è il momento di immergervi i taralli- una decina per volta- per qualche secondo, finché non vengono a galla. Bisogna lasciarli riposare qualche minuto su un canovaccio per farli asciugare prima della cottura nel forno.


Infine infornare, in forno preriscaldato e statico, a 200° per 30 minuti o finché non sono perfettamente dorati.
Li mangi tutti appena tirati fuori dal forno.


Postilla:

Ho scritto il pezzo cercando di catturare le sensazioni di quello che io chiamo l’evento. Impazzisco per i taralli, ma sono per me una cosa così sacra che non ho mai- e dico mai- pensato che potessero essere riprodotti. Ed è vero che un po’ è dovuto al segreto custodito dai panificatori, che io guardo con altrettanta sacralità.
Quando ho preso la decisione di auto-produrli è stato un lungo processo di training autogeno, caratterizzato da un insieme di immagini e ricordi del mio passato: da quando ne mangiavo in quantità industriali da piccola, anche a casa della nonna che ogni tanto li produceva nella sua stufetta a legna, a quando con Vincenzo abbiamo setacciato e saccheggiato – in dieci anni di condivisione- tutti i panifici di tutte le cittadine che vivevamo o visitavamo alla ricerca del tarallo più buono. Ha vinto Andria. Ergo, sono legata ad Andria anche per via della sua personale ricetta dei taralli.







1 commento:

  1. che bello questo post: mi hai fatto riaffiorare in un attimo tanti bei ricordi, odori ed immagini della mia infanzia. son nato e cresciuto in un piccolissimo paese in provincia di bari e immagina che, tra le tante cose meravigliose, si faceva ancora l'olio e il vino nell'unica piazzetta...
    saluti da lontano da uno che ti puliva con piacere le pesche.

    RispondiElimina