giovedì 12 settembre 2013

Cosa bolle in scatola?

Storie di vegetariani senza verdura e di onnivori sbadatamente vegetariani

Quando ho iniziato a rifiutare la  carne non sapevo neanche quale fosse la differenza fra vegetariano e vegano, cosa fosse una dieta crudista piuttosto che fruttariana o macrobiotica. La mente di una bambina è semplice, diretta e spontanea: non volevo più la carne perché gli animali soffrivano e morivano e questo mi bastava, cosa stavo diventando e quale definizione alimentare avrei avuto nel mondo degli umani non mi passava neanche per la mente.

I primi tempi fu proprio una fatica, specialmente per mia mamma, per le mie zie e per la nonna e la domanda più ricorrente prima di tutte le riunioni familiari riguardava “cosa far mangiare alla bambina”. Mamma qualche volta mi comprava in un rarissimo alimentare Bio un po’ di seitan o un pezzo di tofu: una decina di anni fa in una città come Bari i punti vendita Bio si potevano contare su metà dita di una mano, erano per lo più erboristerie molto fornite, alcune avevano anche un banco frigo. Roba di elite, per gente che faceva i capricci alimentari anche solo per la linea. 
Un bel po’ di questioni etiche rimanevano fuori dal punto vendita.

Seitan, Tofu, Tempeh, per me erano un lusso e quindi io e mamma per anni ci siamo perfezionate a preparare pranzi e cene con gli ingredienti semplici: verdure, cereali, legumi, frutta e frutta secca. Sfornavamo tortini, dolci, piatti di pasta al forno, polpette di legumi e verdure ripiene di ogni tipo. È stato così che ho iniziato a pensare che una scelta alimentare come la mia comportasse non solo un rifiuto della sofferenza di altri esseri viventi, ma anche una scelta di benessere personale. Significava infatti così come significa tutt’oggi, essere responsabile delle proprie scelte alimentari, preparare con le proprie mani i pasti quotidiani, consumare verdura e frutta di stagione alternando in modo equilibrato gli alimenti in base alle loro proprietà. In passato come ora io volevo sapere cosa avevo nel piatto, cosa c’era nel sugo, se c’erano formaggi piuttosto che uova, burro o strutto piuttosto che olio, significava e significa essere consapevole di cosa introducevo nel mio corpo. 

E questa non è una moda. Questo si chiama buon senso, si chiama intelligenza, si chiama volersi bene senza parlare esclusivamente di scelte vegetariane.

Qui a Milano essere vegetariani è, come quasi ogni altra cosa una moda. È IN, è uno spunto per le tendenze anoressiche a consumare ancora meno cibo, per gli alternativi ad essere ancora un po’ più alternativi magari se associato ad una buona dose di buddhismo e yoga. Scelte assolutamente personali, ma la maggior parte della  gente non sa ancora quello che mangia
I ristoranti vegetariani sono quelli più costosi e più chic quando magari si può mangiare dell’ottima verdura senza fronzoli spendendo la metà in un qualsiasi altro posto (per non parlare della convenienza di starsene a casa propria e cucinare qualcosa in compagnia). La gente fa la fila in questi supermercati bio-eco-super fashion per comprare i wurstel di seitan, gli spezzatini di tofu, l’arrosto di verdura in tempeh a sua volta imbevuto in salsa di soya del nuovo Madagascar. E la gente compra e spende, quando non c’è bisogno di spendere patrimoni in finti affettati, iniziamo a imparare come si cucina una bietola o come si puliscono le rape.
E poi, qualcuno sa per caso che il seitan si prepara a casa spendendo 1 solo euro per la farina?

Un paio di giorni fa ero in uno di questi negozietti bio che, guarda caso ha aperto in una delle zone più ricche di Milano. Volevo della semplice tahina e del burro di noccioline da usare con parsimonia tipo beni di lusso come mi ha insegnato mamma, ebbene mentre pagavo una signora tutta seccata quanto ingioiellata inizia a dire “Ormai solo roba vegetariana qui eh?” “Volevo le polpette di carne” “Non si capisce più niente qui, non si trova niente”. Forse la poveretta aveva scambiato il negozio per un’Esselunga dalle dimensioni più umane e i prezzi più cari, poverina perché il suo carrello era pieno di quasi 100 euro di roba certamente biologica ma tutta imbustata, già pronta, inscatolata, piena di un sacco d’ingredienti che la mal capitata forse non conoscerà mai in tutta la sua vita. 
E forse neanche io e voi nonostante il biologicamente corretto e il vegetarianesimo indiscusso.




Nessun commento:

Posta un commento